domenica 13 giugno 2010

Per i malati in stato vegetativo le cure sono sempre dovute

di Manuela Perrone (da Il Sole-24 Ore)

Via l'aggettivo «permanente » per connotare lo stato vegetativo che può subentrare al coma dopo patologie improvvise o incidenti, come era accaduto a Eluana Englaro: quei pazienti vanno invece considerati persone con «gravissima disabilità». Lo raccomanda il gruppo di lavoro ad hoc presieduto dal sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, nel documento finale presentato ieri al ministero, insieme al libro bianco redatto da alcune associazioni dei familiari.


Nessuna confusione tra stato vegetativo, malattia terminale e morte cerebrale: il concetto di irreversibilità va bandito, così come la locuzione «staccare la spina ». Perché sono troppe, secondo gli esperti, le incognite scientifiche sull'attività della coscienza e troppi, fino al 42%, gli errori diagnostici. E perché non c'ècertezza assoluta che il paziente «non possa provare qualche forma di sofferenza». «Sono vivi, vanno curati», ha detto Roccella.


Gli effetti del cambiamento terminologico non sono da poco: alimentazione e idratazione assistite sono «elementi fondamentali dell'assistenza» (la loro sospensione, come avvenne con Eluana, è considerata eutanasia) e la persona in stato vegetativo ha diritto ad antidolorifici ogni volta che «vengano diagnosticate verosimili fonti di dolore» (il gruppo di lavoro si riserva l'approfondimento delle modalità di percezione dello stimolo della sete). Soprattutto, «al pari degli altri individui con gravissime patologie croniche questa persona può essere preferibilmente accolta a domicilio o, quando ciò risulta impossibile, può essere trasferita in strutture a carattere non prettamente sanitario».


Prendendo atto dell'eterogeneità e criticità dei servizi nelle regioni, il gruppo di lavoro propone la creazione di un «sistema esperto a rete integrata di percorsi dal coma al domicilio». Ma come potrebbero le famiglie sostenere il peso dell'assistenza? Un team riabilitativo della Asl dovrà valutare la capacità della famiglia di poter gestire la situazione a casa, assicurandole sostegno. Se non fosse ritenuta in grado di provvedere, la strada suggerita è quella delle Suap, «speciali unità di accoglienza permanente» (distinte dalle residenze assistenziali e dai reparti ospedalieri) oppure quella, per ora solo teorica, dei «domicili protetti», strutture sociali in cui coabiterebbero più pazienti.


«Ci auguriamo che la Conferenza Stato-Regioni possa ora formulare linee guida appropriate, poi ci vorrà una legge per istituire un registro degli stati vegetativi », ha annunciato Roccella. Il cui lavoro è stato "benedetto" dal ministro Ferruccio Fazio: «Sta finalmente cercando di mettere ordine».
Nel testo non c'è alcun cenno al testamento biologico. «Ma il fatto che chi è in stato vegetativo può sentire dolore -commenta il radicale Marco Cappato, segretario dell'associazione Luca Coscioni - è una ragione in più e non in meno per rispettare la volontà espressa dalla persona quando era cosciente, inclusa quella di non farsi torturare con trattamenti sanitari forzati».

Per i malati in stato vegetativo le cure sono sempre dovute

Via l'aggettivo «permanente » per connotare lo stato vegetativo che può subentrare al coma dopo patologie improvvise o incidenti, come era accaduto a Eluana Englaro: quei pazienti vanno invece considerati persone con «gravissima disabilità». Lo raccomanda il gruppo di lavoro ad hoc presieduto dal sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, nel documento finale presentato ieri al ministero, insieme al libro bianco redatto da alcune associazioni dei familiari.


Nessuna confusione tra stato vegetativo, malattia terminale e morte cerebrale: il concetto di irreversibilità va bandito, così come la locuzione «staccare la spina ». Perché sono troppe, secondo gli esperti, le incognite scientifiche sull'attività della coscienza e troppi, fino al 42%, gli errori diagnostici. E perché non c'ècertezza assoluta che il paziente «non possa provare qualche forma di sofferenza». «Sono vivi, vanno curati», ha detto Roccella.


Gli effetti del cambiamento terminologico non sono da poco: alimentazione e idratazione assistite sono «elementi fondamentali dell'assistenza» (la loro sospensione, come avvenne con Eluana, è considerata eutanasia) e la persona in stato vegetativo ha diritto ad antidolorifici ogni volta che «vengano diagnosticate verosimili fonti di dolore» (il gruppo di lavoro si riserva l'approfondimento delle modalità di percezione dello stimolo della sete). Soprattutto, «al pari degli altri individui con gravissime patologie croniche questa persona può essere preferibilmente accolta a domicilio o, quando ciò risulta impossibile, può essere trasferita in strutture a carattere non prettamente sanitario».


Prendendo atto dell'eterogeneità e criticità dei servizi nelle regioni, il gruppo di lavoro propone la creazione di un «sistema esperto a rete integrata di percorsi dal coma al domicilio». Ma come potrebbero le famiglie sostenere il peso dell'assistenza? Un team riabilitativo della Asl dovrà valutare la capacità della famiglia di poter gestire la situazione a casa, assicurandole sostegno. Se non fosse ritenuta in grado di provvedere, la strada suggerita è quella delle Suap, «speciali unità di accoglienza permanente» (distinte dalle residenze assistenziali e dai reparti ospedalieri) oppure quella, per ora solo teorica, dei «domicili protetti», strutture sociali in cui coabiterebbero più pazienti.


«Ci auguriamo che la Conferenza Stato-Regioni possa ora formulare linee guida appropriate, poi ci vorrà una legge per istituire un registro degli stati vegetativi », ha annunciato Roccella. Il cui lavoro è stato "benedetto" dal ministro Ferruccio Fazio: «Sta finalmente cercando di mettere ordine».
Nel testo non c'è alcun cenno al testamento biologico. «Ma il fatto che chi è in stato vegetativo può sentire dolore -commenta il radicale Marco Cappato, segretario dell'associazione Luca Coscioni - è una ragione in più e non in meno per rispettare la volontà espressa dalla persona quando era cosciente, inclusa quella di non farsi torturare con trattamenti sanitari forzati».

di Manuela Perrone (da Il Sole-24 Ore)