venerdì 8 gennaio 2010

"Il vero colabrodo sono i controlli" Medici e infermieri abbandonati a se stessi

VALENTINA ARCOVIO

Per Walter Ricciardi, direttore dell'Istituto di Igiene dell'Università Cattolica di Roma e presidente dell'European Public Health Association (Eupha), le infezioni ospedaliere sono «una vera e propria piaga». Perché sono così tanti i casi di infezione? «Perché in Italia manca un sistema efficace di lotta. Sappiamo come prevenirle e combatterle, ma poi manca la volontà di farlo». Non c'è nessuno che controlla? «Ogni ospedale dovrebbe avere un comitato predisposto al controllo. Ma il sistema funziona soltanto nel 20-30% delle strutture. Significa che in circa otto ospedali su 10 non viene effettuato alcun monitoraggio delle infezioni, cosa che, invece, avviene in tutti i Paesi civili». Quali sono i reparti più colpiti? «Il reparto più
a rischio è quello della Terapia Intensiva, dove vengono effettuati
su pazienti già molto debilitati trattamenti invasivi e delicati.
Inoltre, la situazione clinica di questi pazienti è già abbastanza
critica, tanto da presupporre che le loro difese immunitarie
siano più basse di quello che invece dovrebbero essere. E
quindi sono più esposti alle infezioni». Quali sono i principali veicoli di trasmissione delle infezioni? «Il primo veicolo sono le mani sporche. In particolare, quelle del personale che entra in contatto con strumenti delicati per i pazienti». Un esempio? «Le mani sporche degli infermieri che cambiano il catetere ai pazienti o quelle del personale che tocca i boccagli per la respirazione. Ma anche i vestiti, soprattutto se si usano gli stessi con cui si va al bar a prendere un caffè o a fumarsi una sigaretta». Quali sono le infezioni ospedaliere più comuni? «Quelle a carico dell'apparato urinario e dell'apparato respiratorio». E gli agenti patogeni più diffusi? «I batteri che si diffondono in genere tramite le mani sporche sono lo pseudomonas, l'Escherichia coli, la kleb- siella. Invece, i microrganismi che si diffondono tramite inquinanti ambientali, come nei boccagli e nell'acqua, sono la legionella o i virus sinciziali che colpiscono l'apparato respiratorio». Che cosa si può fare per fermarli? «La prevenzione è l'unico strumento in grado di bloccare la loro diffusione. Anche le strutture ospedaliere degli altri Paesi si trovano ad affrontare lo stesso problema, ma da noi c'è una minore attenzione». Che cosa si fa negli altri Paesi? «Oltre a monitorare attentamente la situazione, sono previsti degli incentivi e delle sanzioni contro il personale che non rispetta le norme di igiene. In Svizzera gli infermieri che non si lavano le mani rischiano sanzioni pecuniarie. In ca si più gravi è previsto il licenziamento. Un caso éclatante si è verificato 5-6 mesi fa in Gran Bretagna, quando un direttore generale è stato incriminato per omicidio a causa di una serie di casi di infezioni». E' vero che in Italia mancano anche un'adeguata formazione e informazione? «Credo proprio di no. In tutti i corsi di formazione destinati al personale sanitario la prima cosa che insegniamo è l'importanza della pulizia. Quello che al massimo possono fare gli ospedali è aumentare il numero di lavandini, per esempio rendendoli disponibili in più punti dell'ospedale. Ma senza la volontà del singolo c'è poco da fare, a meno che non vengano stabiliti degli incentivi, anche economici, per i più virtuosi e delle sanzioni per chi non rispetta le regole». Gli ospedali meridionali sono considerati meno «virtuosi»: è davvero così? «Il problema delle infezioni ospedaliere riguarda un po' tutta l'Italia. E' vero che c'è qualche differenza tra Nord, Centro e Sud, ma in generale sono le singole strutture a fare la differenza. Posso dire che l'ospedale più attento alle infezioni è il Policlinico di Ancona».

Ricciardi è direttore dell'Istituto di Ig'ienedell'Università Cattolica di Roma e presidente dell'organizzazione European Public Health Association (Eupha)

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